APOLOGHI - La Seconda Discesa di Nostro Signore ;-)

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sabato 9 maggio 2009

La Politica senza Progetto


La Politica Senza Progetto




Diciamolo pure, la politica raramente accende gli animi. E quando lo fa, sono gli animi di pochi. Gli altri, tutti gli altri, si limitano a seguire il vento. Al massimo , “si interessano”.
Eppure è ben strano, se pensiamo che la politica in gran parte decide le nostre vite. O almeno, il loro aspetto sociale. Non è solo una questione di medici in politica. E’ importante; ma non basta.

Né basta l’amara constatazione che continuiamo a pagare l’esistenza delle Facoltà di Scienze Politiche in realtà ridotte a Centri Studi del tutto teoretici e inoffensivi, quasi senza alcun impatto sulla realtà, se si eccettua il mandare ogni tanto in tv un “esperto” che discetterà più o meno appassionatamente, più o meno competentemente, di cose che i politici continueranno tranquillamente ad ignorare.
Gliele segnalo, ministro Gelmini, a Lei o ad altro incompetente che con ogni probabilità la seguirà. Potremmo abolirle e risparmiare qualcosa.
Nello stesso tempo raccomando di abolire le facoltà di Filosofia, che non sono solo inutili, ma dannose. E continuano a produrre questi strani personaggi, i filosofi, che hanno la pretesa nientemeno di capire, di cercare la verità, di cambiare le cose, come se non sapessero l’arcano segreto che voi “governanti” conoscete bene e che uniforma ovunque la vostra azione: che il mondo è stato condannato dall’inizio alla mediocrità, all’insipienza, alla dappocaggine e alla truffa, quando non alla violenza, dei governi e delle mafie più o meno planetarie che li controllano e se li spartiscono.
Aboliamole, queste Facoltà. Che a nessuno venga in mente che la politica si può insegnare. E che la realtà si può migliorare.
Poi sia la volta della scuola, massacrata e sbrindellata ma ancora troppo libera. Riempiamola di professori di religione, purché graditi al vescovo-portatore-di-voti (pardon, di doni…).
Allora sì che avremo la bella società, nani e ballerine al governo (come ora, destra o sinistra poco importa…). La Tv sarà l’unica scuola, l’unica università. Studieremo Storia del Calcio, Filosofia del reality, Economia della Prova del Cuoco e tante altre meraviglie. Ogni tanto lo Zichichi di turno a parlarci della Scienza conferenziera, non quella reale, sudata e sofferta, affidata magari ai precari; ma quella che si riempie la bocca della sua stessa parola, che neanche si sogna di mettere naso negli assetti di potere: basta finanziarla e adularla, e lo servirà fedelmente, ciecamente. Perché entrambi, scienza salottiera e potere, sono il frutto dello stesso inganno, del vuoto che si nasconde dietro i paroloni, le cariche e i titoloni accademici, politici, di recinto e di gregge.
E quando si avrà voglia di cambiare aria, ecco la chiesa. Con lo stesso spirito con cui si esce la domenica e si va all’ipermercato. Così si evade restando nel recinto.
Insomma tutto, davvero tutto, senza esclusione di colpi, per combattere ed eliminare l’aspirazione più antica, nobile ed essenziale dell’uomo e del cittadino: la libertà.
C’è sicuramente una relazione diretta, un parallelismo devastante, tra questa drammatica decadenza della società e l’attacco sistematico all’istruzione pubblica, a tutti i livelli, con la falsa motivazione del risparmio. Perché falsa è. Perché se si volesse davvero risparmiare, ogni cittadino sa benissimo da dove si dovrebbe cominciare.
Le società in ascesa investono pesantemente nell’istruzione, che da noi è considerata un mero costo, quando non un peso parassitario.
E questo perché siamo governati dalle forze antagoniste alla cultura libera: da oligarchie di partito che escludono e umiliano i cittadini, e che sarebbero spazzate via in una competizione vera.
Da oligarchie religiose che umiliano la fede viva e spesso esemplare di molti sacerdoti della chiesa di base.
Da oligarchie economiche che schiacciano le forze economiche sane, creative e innovative; che stanno in piedi grazie al gioco finanziario delle scatole cinesi ed ai copiosi sovvenzionamenti pubblici, in uno scambio di favori dostojevskiano che ricorda più la complicità nei delitti, piuttosto che la collaborazione e la competizione di forze sociali in una democrazia aperta.
Da oligarchie militari, dei servizi segreti, delle forze di polizia, la cui fedeltà allo Stato si è potuta ben misurare con la P2, e che si sostengono grazie ai reciproci favori gerontocratici e a spese dei tanti militari e poliziotti che il lavoro lo prendono sul serio, e magari ci rimettono la vita. Eroi del nostro tempo, o, a scelta, poveri stupidi che non si sono ancora piegati all’unico dio riconosciuto dai vertici: il denaro, e quello che porta con sé in termini di potere, prestigio (prestigio cafone, ma tant’é…), poltrone, corredo di servi e lacchè vari, cortei di auto lampeggianti e strombazzanti per i centri delle città per far sapere che stanno arrivando loro, i volgari sacerdoti del potere parassitario e impresentabile, cialtrone e casinaro, esibito e ostentato per mascherare il vuoto spaventoso che lo ha prodotto.
Da oligarchie accademiche, ficcate nell’università a via di calci dove non si può dire, e di agganci inconfessabili; o con concorsi rigorosamente truccati, vere e proprie terapie da accanimento per tenere in vita una classe docente tanto più mediocre (e quindi obbediente) quanto più si sale nel livello del così detto potere, in ossequio alla regola, da noi universale, che le cariche si assegnano per appartenenza e persottomissione, non certo per merito, e figuriamoci per libertà di pensiero e di originalità. Sapienti del giorno bisestile. Esperti da parata televisiva.
E che dire dell’informazione? Quella che dovrebbe essere l’arma dei cittadini per controllare il potere, i propri rappresentanti, è la cloaca più fetida di questa ormai ex Repubblica, che scivola ogni giorno versol’autoritarismo e la dittatura. No, non per Berlusconi. Il problema non è lui. Lui ne é solo la facciata. Solo il logo sul tappo.
Il problema è il rapporto con i cittadini di una classe politico-economico-sociale, residuato dell’età dei Blocchi contrapposti, che non vuole andare via, che si sostiene con tutti i mezzi; una casta che non disdegna neanche l’appoggio delle mafie, anzi a volte lo cerca, pur di non cadere: perché sa che gli unici a cui davvero potrebbe appoggiarsi solidamente, i cittadini, se potessero la farebbero fuori all’istante. Politicamente, s’intende.
Un tappo micidiale che brucia, condanna, umilia, devasta, disperde e soffoca le energie migliori del Paese, quelle che nei secoli ci hanno reso una superpotenza culturale, e che oggi sono schiacciate dalla deriva del paese che diviene una superpotenza mafiosa, nel senso più lato, generale, onnicomprensivo, pervasivo e soffocante del termine. Qualcosa di molto più potente, e quindi molto più soffocante della mafia propriamente detta. Qualcosa che sta alla mafia tradizionale come la strage di via D’Amelio sta all’agguato di lupara.
Ma questo gioco al massacro può funzionare solo finché c’è un dividendo da distribuire. E una pauracomune (non di casta) da fronteggiare.
Ha funzionato per tutto il secondo dopoguerra, col Paese in crescita (con l’Europa in crescita, con l’Occidente in crescita), il benessere economico che aumentava, e la paura del comunismo.
Oggi il comunismo non c’è più, salvo che nei sondaggi interessati del premier e nella testa di nostalgici impauriti di entrambi gli (ex) schieramenti. Oggi l’economia è in recessione: non si distribuisce; si tassa. E quando la recessione finirà, rimetteremo fuori la testa e scopriremo che il mondo è cambiato, che sono arrivati molti concorrenti di economia pari o superiore alla nostra, ma con alle spalle una società ben più viva e dinamica, che investe in cultura e tecnologia, che “sa stare al mondo” molto meglio di una vecchia nave gloriosa, in pugno a un equipaggio malsano, inetto, cieco ma comunque vorace e insaziabile.
Oggi l’Occidente è saltato. Nessuno ne parla, ma è già morto. L’esplosione bancaria degli Stati Uniti, che rimangono in piedi solo (ma per quanto ancora?) grazie ai risparmi cinesi, racconta un futuro che nessuno vuol vedere, ma è già scritto. Gli USA non sono più in grado di guidare il mondo. Il futuro è fatto, nella migliore delle ipotesi, di accordi multilaterali che essi giocheranno con i grandi players mondiali, la Cina, la Russia, l’India, sulla testa dell’Europa o con l’Europa ridotta a portaborse. L’apertura di credito di Barack a queste potenze significa una cosa sola: gli USA cercano nuovi alleati. Lo sgangherato cowboy che ha condotto l’assalto all’Iraq, o meglio che se ne è preso la responsabilità, è stato probabilmente l’ultimo prodotto storico di un’alleanza finita per esaurimento.
Addio Europa. Il legame ombelicale euro-americano è rotto; la guerra irachena lo ha dimostrato: con gli USA sono rimasti gli europei più deboli e ricattabili, o più intrinsecamente legati all’economia americana: l’Italia e la Gran Bretagna.
Nel nuovo mondo che si costruisce sotto i nostri occhi, la stessa Europa rischia di essere tagliata fuori; di passare dal vassallaggio morbido al pieno isolamento. Ricca gallina dalle uova d’oro, l’incertezza è solo su quale cuoco la cucinerà.
In tutto questo quadro, col mondo in piena rivoluzione, l’Europa condominiale e ragionieristica è già finita. La forza di attrazione geo-politica delle nuove (e delle vecchie) potenze la spezzetterà inesorabilmente.
Bisogna arrivare all’unità politica, e subito, per contare qualcosa. Altrimenti, dopo aver dato l’addio alla posizione di comando della storia, daremo l’addio anche alla storia in quanto tale. Scivoleremo nel limbo di quello che un grande filosofo (europeo) ha chiamato i “popoli messi da parte”.
In questo contesto, le elezioni provinciali offrono il picco della drammaticità. La nostra provincia diventerà area metropolitana: è l’ultima elezione in cui esiste, e si chiama così. Tutte le altre province sono state minacciate di azzeramento da destra e da sinistra; e i cittadini reclamano il rispetto di questi impegni. Quanto dureranno ancora? Le province sono già dei cadaveri politici e questo frenetico affaccendarsi di partiti, liste e candidati per queste poltrone già morte da il senso squallido della muta dei cani randagi, privi di passato e di futuro, che si disputano gli avanzi della decomposizione.
E che malinconia queste riunioni, questi “vertici”, questi quadri grigi e sbiaditi, sopravvissuti a un tempo che fu; quadri solo apparentemente viventi, ripieni di vecchie cariatidi che si riciclano; di antichi nemici che si raggruppano detestandosi, perché a Roma o altrove qualcuno ha deciso così; questi politici, anzi politicanti della chiacchiera e della presa in giro che raccontano lo stesso sermone a folle narcotizzate (essi credono) dalla tv, e perciò senza alternative. Queste mezze figure senza spessore, queste mezze calzetteroteanti rumorosamente in un mondo per sempre spezzato a metà, capiranno presto quale conto salato gli toccherà pagare.
Sbranarsi per una poltrona-sarcofago in una provincia già morta, in una ormai ex-Repubblica, in una nazione agonizzante che spera solo in un’Europa che non nasce. E’ il momento in cui si rompono le acque; in cui tutto crolla, diluvia e travolge: e il lungo processo del parto è appena iniziato.
E’ l’apoteosi della politica triste: della politica senza progetto, senza visione, senza meta: senza valori.
La difficile arte del governo, ridotta al puro azzuffarsi per riempirsi le tasche. La guerra dei topi mentre la nave affonda.
E a noi non andrà meglio. Noi cittadini ci toccherà pagare comunque.
Ma almeno la scelta oggi è chiara.
Rimettere la conoscenza al centro, togliere questo maledetto tappo che soffoca il Paese, azzerare la classe dirigente parassitaria, complice del disastro o incapace di prevederlo, prevenirlo e fronteggiarlo; e ricominciare a crescere per mantenere il nostro posto nel mondo, la nostra identità, il nostro valore di italiani e di europei che ritrovano lo spirito per rimanere in corsa per il futuro con le vere “armi”, i valori, che li hanno resi veramente grandi.
Oppure rassegnarsi a una deriva autoritaria, in cui si continuerà ad affondare, in cui si continueranno atagliare spese essenziali, e quando non ci sarà più niente da tagliare si passerà al manganello.
Il mondo che è finito non tornerà. Ma nel mondo che sorge possiamo ancora dire la nostra. Sta solo a noi. Dopo tutto, non si può rimanere tristi e nel guado per l’eternità.
E’ la scelta epocale a cui tutti siamo chiamati. Liberarci ora, o rimanere schiavi per sempre.

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